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  • Immagine del redattoreLuisa Colombo

“Serum che tut insem, num don... Lavavem i lenzö, i vestì e ciciaravem di nost marè, di nost bagai, di fiulet e della guera che l’era finida e che l’eva lasà tanta miseria.”

Me lo raccontava mia nonna quando da bambina, l’accompagnavo a fare la spesa e per andare dal macellaio, il famoso Pigazzini, passavamo da qua, dal lavatoio, uno dei posti più belli del paese. Oggi ci sono tornata, mi sono seduta nello stesso posto dove mi sedevo da ragazzina; a quei tempi mi piaceva tenere i piedi in ammollo nell’acqua fresca, mentre la nonna mi raccontava le storie del paese.

Come era diversa la loro vita dalla nostra… Lei mi diceva: “Stavamo qui tutte insieme, noi donne, lavavamo le lenzuola, i vestiti e chiacchieravamo dei nostri mariti, dei nostri figli, dei bambini e della guerra che era finita e che aveva lasciato tanta miseria.” Mi piaceva stare a sentire le sue storie, ascoltare come allora non avevano nulla, ma riuscivano ad essere contente, gioiose, di una felicità che era fatta di affetti, di cose semplici e naturali. Mi raccontava che quel lavatoio d’estate, era un posto di ristoro; allora non c’erano i condizionatori, nemmeno le lavatrici e mentre le donne lavavano con il detersivo più esclusivo di quei tempi, il sapone di Marsiglia e la cenere raccolta dal camino, sciacquavano nell’acqua fresca della fonte e strizzavano a più mani i panni, i bambini correvano in tondo, schizzandosì l’acqua. In inverno, lavare lì non era così piacevole; le mani si intirizzivano e diventavano blu per il freddo, ma nonostante quello, il lavatoio era un luogo speciale, dove la nonna e le altre donne si incontravano. Un vero e proprio luogo social, un Facebook reale, che in tempi non sospetti, permetteva a queste donne di condividere le loro vite, di sostenersi e di aiutarsi. Forse a quei tempi c’era meno egoismo... la nonna mi raccontava che nella “curt”, nel cortile, i figli di una erano figli di tutte; i problemi di una, erano problemi di tutte. Erano altri tempi, ormai lontani, lontani dal Covi e da altri problemi, come la miseria lasciata dall'ultima grande guerra, ma più belli e pieni di umanità di quanto non lo siano i nostri. I meravigliosi occhi grigio azzurri della nonna Mari brillavano, quando mi raccontava le storie della sua vita ed ora, seduta su questa pietra che ha raccolto parole, lacrime, sogni, emozioni e la vita di tante donne, tanta vita, nel ricordare quella parole, anche i miei occhi brillano e se li chiudo, mi sembra che lei sia ancora qui accanto a me, a narrare pagine e pagine di ricordi, per poi dirmi, come faceva allora: “O gent me l’è tardi...neuda nem a cà che go de fac de mangià al tó nonu chel riva.“ Quanti ricordi, quanto amore in questo scorcio di paese...quanti attimi di vita vera.

(iCdL❌)

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Siamo donne...

E la chiamano emancipazione femminile, ma mi chiedo se sia davvero così… Abbiamo lottato per avere il diritto di voto, diritti civili, politici e sociali.

Per guidare una macchina e per studiare. Abbiamo faticato duramente perché le donne non erano nemmeno libere di disporre del denaro che guadagnavano o di promuovere azioni legali e abbiamo manifestato per poter fare o dire, ciò che le nostre antenate, le nostre nonne e le nostre madri, nemmeno avrebbero osato pensare. Ma donne eravamo e donne siamo e questa dura lotta alla ricerca della parità, dove ci ha portate? Forse a perdere di vista ciò che davvero siamo, in nome di una parità che non esisterà mai, non fisiologicamente almeno, ma purtroppo nemmeno umanamente, perché mentre lottavamo per dimostrare che una donna, può valere quanto un uomo, abbiamo scordato quanto importanti già eravamo e quanto importanti siamo. Perché nonostante le battaglie, ancora oggi, oltrepassata la meta di questo devastante 2020, ci sono bambine che vengono date in moglie ad esseri, che nascondendosi dietro la cultura o la religione, celano le proprie depravazioni. Perché ancora oggi, in questa moderna società ancora palesemente maschilista, ci sono donne che vengono massacrate in nome di quell'amore, che altro non è che una patologia da curare e l'affermazione di una supremazia che si vuole imporre a chi si ritiene inferiore. Perché dietro al successo di una donna, alla sua carriera, alla sua fama, c’è sempre chi virgoletta ironicamente un “chissà come avrà fatto…”, e chi alle spalle di una donna con un mini abito e un rossetto rosso, apostrofa più o meno silenziosamente un “zoccol…” E questa la chiamiamo emancipazione? Chiamiamo emancipazione l’autorizzazione a un gruppo di bricconi brilli, di stuprare una donna solo perché la gonna è un po’ corta o di diffamarla perché non c’è stata? Forse abbiamo perso di vista chi e cosa siamo veramente, accettando troppi compromessi per ottenere qualcosa che ci è sempre spettato di diritto, non come donne ma come essere umani con pari dignità e valore degli uomini.

Forse abbiamo perso di vista chi siamo veramente, ovvero quelle che donano la vita, che amano con tutto il cuore e tutta l’anima, che fanno il quadruplo della fatica per dimostrare quanto valgono e che a parità di mansione, percepiscono uno stipendio inferiore a quello del sesso opposto. Ma noi sì, siamo donne, quelle che dopo ore e ore di travaglio, escono da sole, sulle proprie gambe dalla sala parto, quelle che sono costrette a depilarsi le gambe per piacere, quelle che si deprimono per i chili di troppo, quelle che piangono per colpa del ciclo; si, le stesse che amano incondizionatamente, le stesse che ieri, oggi e domani, forse avranno meno valore sociale, ma che sempre saranno il motore del mondo, perché il nostro muscolo principale è il cuore. (iCdL❌- Luisa Colombo)

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Era il 19 febbraio del 2003, mia figlia Rebecca era nata da pochi giorni e quando la portammo a casa, fu un emozione grande metterla tra le braccia della nonna Mari.

A quel tempo Mr Alzheimer già aveva rubato i suoi ricordi, ma quando la vide, la prima cosa che fece fu sorridere con quella boccuccia ormai senza più un dente, allungando le mani.

Con molta attenzione gliela poggiammo tra le braccia, le stesse che un’infinità di volte avevano stretto e coccolato anche me.

Le sue mani ormai erano tremolanti, la pelle rugosa segnava il tempo che era volato via, ma l’istante in cui i loro sguardi si unirono, resterà impresso nel mio cuore per il resto dei miei giorni.

Si guardarono in un modo che non si può descrivere, come se attendessero di incontrarsi da sempre e la nonna le diceva, con un tono che profumava di affetto: “Bella piccinina, di chi sei te, bella piccinina” e poi: “Siiiii, sei la mia bambina”.

Le sorrideva come se esistesse solo lei, come se tutto il resto non avesse importanza, nemmeno la mancanza dei denti e Rebecca, che aveva poco più di 4 giorni di vita, la fissava con quegli occhioni neri aperti, come se stessero parlando una lingua che solo loro comprendevano.

Fu un’emozione forte, accentuata forse dal fatto di essere diventata madre da poco e per la prima volta o forse per la gioia di vedere quel sorriso, che ancora oggi ricordo; perché quel giorno, quel sorriso, fu un dono d’amore alla mia bambina.

Quel sorrioso che per lungo tempo nel corso degli anni, aveva accompagnato me durante il percorso della mia vita.

Ritrovare queste immagini, mi riempie il cuore di gioia, mi fa sentire una donna fortunata, per aver assaporato quegli istanti.

Forse sono proprio quei momenti le mie pepite d’oro, la ricchezza di un’eredità che non si cancellerà mai, perché l’immensità dell’amore ricevuto rivive sempre nell’amore che si dona.

(iCdL❌)

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Ciao, sono qui per raccontarti ciò che vivo,

le esperienze delle anime che incrociano il mio cammino

e quelle che hanno segnato la mia esistenza.

Qui ti parlo della mia vita, dei miei pensieri, delle mie riflessioni.

Se ti va di leggermi, di commentare, di esprimere il tuo punto di vista, sei libero di farlo...

Credo che la condivisione,

sia una delle esperienze migliori della vita.

Grazie Luisa

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