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Verde come la speranza... sull'orlo del baratro

  • Immagine del redattore: Luisa Colombo
    Luisa Colombo
  • 17 ago 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Da giorni, ho questa immagine dinnanzi agli occhi, un fotogramma che ha fermato un istante in cui il destino ha scelto chi potesse continuare a vivere e chi no. Ho negli occhi questa foto, che mi restituisce l’immagine chiara e nitida della solitudine, dell’abbandono, della miseria umana, votata ormai al Dio denaro e non più al valore dell’essere umano.

Si è già detto tanto, forse troppo.

Si è scatenata una corsa alle testimonianze dei sopravvissuti, dei miracolati, così li chiamano, come se anche questa volta, si volesse attribuire a Dio il merito di chi si è salvato e la colpa di chi è morto in questa tragedia, che altri colpevoli non ha, che esseri umani ignobili e indegni di essere definiti tali. Guardo questo scatto, che sono certa passerà alla storia, perché quel mezzo verde, fermo ad un passo dal baratro, che avrebbe potuto inghiottire ognuno di noi, senza distinzione di età, sesso, e dichiarazione dei redditi, ci ricorderà tutte quelle vittime innocenti, a cui la vita è stata rubata, strappata...

Forse è tempo di chiedere scusa, di scusarci per la nostra umana natura; per la nostra debolezza.

Forse dobbiamo chiederci scusa, per quella cecità indotta a cui ci costringiamo, pur di non vedere; per l’incurabile, forse patologica voglia di sperare, di desiderare e di credere che tutto sia possibile.

Ma di fronte a tragedie come questa, a cui purtroppo ci stiamo brutalmente abituando, non riesco e non posso non sperare, che la pazienza, la costanza e la fiducia nel genere umano, siano sempre le sagge compagne di una, dieci, cento, mille vite, trascorse a seminare e ad attendere, che qualche esile germoglio, abbia la forza di spezzare il terreno ormai inaridito, magari proprio in un momento in cui la pioggia, lo ha reso per qualche istante più morbido...anche dopo un crollo devastante.

Forse è il momento di silenziare le inutili polemiche e di trovare, ognuno dentro se stesso, l’umiltà di chiedere scusa, per aver voluto stravolgere la natura, aver scelto di andare contro le sue leggi, aver peccato di deliri di onnipotenza, che non si possono certo battezzare con il nome "Progresso"!

Di fronte a queste tragedie, ci adiriamo con Dio, lo insultiamo e chiediamo perché ha permesso tutto ciò, ma non è a lui che dobbiamo chiedere di rispondere del prezzo dei nostri errori e delle nostre colpe.

Guardo quel camion verde, verde come il colore della speranza, che purtroppo è precipitata in quell’abisso di calcestruzzo, ferro arrugginito, carne e sangue e mi chiedo quante disgrazie ancora dovranno accadere, perché l’umanità ricominci a restituire alle cose la giusta importanza e la smetta di mettere soldi, guadagni e ricchezze futili e materiali, davanti al valore della vita.

Di fronte a quel camion fermo sul lembo di quella ferita lacero contusa, che ha colpito l’Italia intera e che probabilmente non smetterà di sanguinare per molto tempo, non riesco a non interrogarmi sul valore del tempo, su quanto la vita ci riservi sorprese, purtroppo a volte brutali; non riesco non pensare a quante volte rinunciamo per orgoglio a donare parole di gentilezza, ad offrire gesti d’amore, a regalare il nostro tempo alle persone che amiamo… Non riesco a non pensare a quello, perché di fronte a quel vuoto, mi chiedo quante persone ora resteranno in attesa di una parola, di un gesto, di una carezza, del suono di una voce, che purtroppo non potranno risentire mai più; quante volte si batteranno il mea culpa, per non aver risposto ad un messaggio importante, per aver dato priorità a cose che non dovevano averla e per aver messo all'ultimo posto le ragioni del del cuore....

Forse ora dovremmo avere cristiana compassione di quegli uomini, che non hanno avuto la forza di fermarsi e fermare, quando ancora erano in tempo...quando ancora avrebbero potuto risparmiare la vita di tutti coloro, che ora non esistono più, se non nei ricordi di chi li ha amati.

Dovremmo chiedere scusa, tutti; pietà, per il male che ci siamo costretti a subire. Per ogni punto di sutura, sempre più più fitto, sempre più compatto e senza mai nessun anestetico, che ormai da troppo tempo, sta tenendo insieme i pezzi di quest’Italia, che si sta sgretolando, partendo proprio da quelle lingue di asfalto, che dovrebbero unire invece di dividere.

Non è proprio con Dio che dovremmo essere arrabbiati, ma con noi stessi e chissà se un giorno, troveremo la bontà di perdonarci, per i carichi a cui ci siamo imposti di resistere.

Forse quel Dio, a cui attribuiamo la colpa di decidere del nostro destino, riuscirà ad essere tanto indulgente e comprensivo con noi, che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere , nonostante oggi, guardando quel camion, mia sia resa conto di quanto abbiamo maltrattato inutilmente e ignorato, questa nostra meravigliosa patria.

Chiediamo in silenzio scusa alle vittime e comprensione a chi ha perso, madri, padri, figli, fratelli, sorelle, fidanzati e chiniamo il capo di fronte a questa immensa sofferenza, di cui ognuno di noi dovrebbe sentire il peso. Chiediamo scusa e chiediamo a Dio, quello di cui ci ricordiamo solo quando la vita ci sembra troppo dura da affrontare, di darci il coraggio, la forza e la dignità, di continuare ad avere fiducia nel genere umano e di sostenerci, nel cammino di ricostruzione di quei ponti, che devo no essere tanto solidi, da unire senza più dividere!

(iCdL)


 
 
 

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