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  • Immagine del redattore: Luisa Colombo
    Luisa Colombo
  • 24 ago 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

C’è una parte di frase, pronunciata durante la celebrazione del sacro rito del matrimonio, che mi ha sempre colpito molto e che io stessa ho pronunciato. Una frase, che forse ormai si recita, sul palcoscenico dell’altare, come fosse un copione, senza darle il peso e l’importanza che ha. “… nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore,nella salute e nella malattia… e onorarti, tutti giorni della mia vita” Sono parole, tante parole, ma pronunciate di fronte a Dio, assumono un valore diverso. Penso al momento in cui questi vocaboli si liberano dal cuore, ed escono dalla bocca con una melodia indimenticabile e penso ai tanti sogni e desideri, che li rendono colorati, frizzanti e vivi. Penso all’emozione di quegli attimi e alle tante aspettative, che in quell’istante, con la voce commossa, si affidano alla persona che si ha accanto. Forse quello, però, è l’unico momento in cui si crede, senza riserve, a quelle parole, perché poi la vita, fa percorrere strade, che invece di unire, troppo spesso allontanano da colui o colei, al quale avevi promesso: “Per tutti giorni della mia vita”. Sono tempi questi, in cui le relazioni, sembrano impazzire come la maionese; sembra basti un nulla e quello che era apparentemente perfetto, si smonta in un attimo e la sola cosa che resta da fare, è quella di gettare via tutto e riprovare, cercando almeno, di non commettere gli stessi errori. Ma questo si può fare con la maionese, ma con le relazioni no, perché le relazioni sono basate sui sentimenti, che non possono essere gettati nella spazzatura, come i gusci delle uova. Tutto può finire; i sentimenti possono mutare, possono affievolirsi, possono anche scomparire, ma non si possono e non si devono dimenticare, perché lasciano segni indelebili impressi nel nostro animo e sulle nostre esistenze. Forse è più facile trasformare l’amore in odio, che colmare i vuoti che lascia, con la rabbia e il rancore, piuttosto che essere grati alla vita, per aver avuto la possibilità di provare dei sentimenti così forti. Forse è più facile impegnarsi a cercare con collera, i motivi e le colpe, quasi sempre da imputare all’altro o all’altra, che hanno inaridito questi sentimenti, che sembrava dovessero durare in eterno; sentimenti che poi, si cerca di inzuppare di fiele, così come si inzuppano i biscotti nel latte, con l’assurda pretesa, che così, le cose, facciano meno male. L’amore è un dono e voglio credere che anche quando si spegne, almeno il suo prezioso ricordo, faccia sì che ci si tratti sempre con rispetto, anche se la fine di un amore, lascia sempre cicatrici che suturano ferite dal sapore rancido del fallimento; anche se, la fine di un amore, è sempre un lutto da elaborare. Ma non credo che l’odio e il risentimento, facciano stare meglio; non credo che sputare nel piatto in cui ci si è nutriti, possa portare guarigione. Credo si debba essere grati, per le cose belle che si sono vissute, per le gioie e per i passi fatti insieme nella stessa direzione. Credo che ci si debba guardare allo specchio e con molta onestà, riconoscersi che a volte, le cose non vanno come avremmo voluto, nonostante tutto e nonostante tutti, e credo che alla fine, sebbene il racconto inizi con “C’eravamo tanto amati”, non debba che terminare con la frase “...e non dovremmo dimenticarlo mai” (iCdL)

 
 
 
  • Immagine del redattore: Luisa Colombo
    Luisa Colombo
  • 17 ago 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Da giorni, ho questa immagine dinnanzi agli occhi, un fotogramma che ha fermato un istante in cui il destino ha scelto chi potesse continuare a vivere e chi no. Ho negli occhi questa foto, che mi restituisce l’immagine chiara e nitida della solitudine, dell’abbandono, della miseria umana, votata ormai al Dio denaro e non più al valore dell’essere umano.

Si è già detto tanto, forse troppo.

Si è scatenata una corsa alle testimonianze dei sopravvissuti, dei miracolati, così li chiamano, come se anche questa volta, si volesse attribuire a Dio il merito di chi si è salvato e la colpa di chi è morto in questa tragedia, che altri colpevoli non ha, che esseri umani ignobili e indegni di essere definiti tali. Guardo questo scatto, che sono certa passerà alla storia, perché quel mezzo verde, fermo ad un passo dal baratro, che avrebbe potuto inghiottire ognuno di noi, senza distinzione di età, sesso, e dichiarazione dei redditi, ci ricorderà tutte quelle vittime innocenti, a cui la vita è stata rubata, strappata...

Forse è tempo di chiedere scusa, di scusarci per la nostra umana natura; per la nostra debolezza.

Forse dobbiamo chiederci scusa, per quella cecità indotta a cui ci costringiamo, pur di non vedere; per l’incurabile, forse patologica voglia di sperare, di desiderare e di credere che tutto sia possibile.

Ma di fronte a tragedie come questa, a cui purtroppo ci stiamo brutalmente abituando, non riesco e non posso non sperare, che la pazienza, la costanza e la fiducia nel genere umano, siano sempre le sagge compagne di una, dieci, cento, mille vite, trascorse a seminare e ad attendere, che qualche esile germoglio, abbia la forza di spezzare il terreno ormai inaridito, magari proprio in un momento in cui la pioggia, lo ha reso per qualche istante più morbido...anche dopo un crollo devastante.

Forse è il momento di silenziare le inutili polemiche e di trovare, ognuno dentro se stesso, l’umiltà di chiedere scusa, per aver voluto stravolgere la natura, aver scelto di andare contro le sue leggi, aver peccato di deliri di onnipotenza, che non si possono certo battezzare con il nome "Progresso"!

Di fronte a queste tragedie, ci adiriamo con Dio, lo insultiamo e chiediamo perché ha permesso tutto ciò, ma non è a lui che dobbiamo chiedere di rispondere del prezzo dei nostri errori e delle nostre colpe.

Guardo quel camion verde, verde come il colore della speranza, che purtroppo è precipitata in quell’abisso di calcestruzzo, ferro arrugginito, carne e sangue e mi chiedo quante disgrazie ancora dovranno accadere, perché l’umanità ricominci a restituire alle cose la giusta importanza e la smetta di mettere soldi, guadagni e ricchezze futili e materiali, davanti al valore della vita.

Di fronte a quel camion fermo sul lembo di quella ferita lacero contusa, che ha colpito l’Italia intera e che probabilmente non smetterà di sanguinare per molto tempo, non riesco a non interrogarmi sul valore del tempo, su quanto la vita ci riservi sorprese, purtroppo a volte brutali; non riesco non pensare a quante volte rinunciamo per orgoglio a donare parole di gentilezza, ad offrire gesti d’amore, a regalare il nostro tempo alle persone che amiamo… Non riesco a non pensare a quello, perché di fronte a quel vuoto, mi chiedo quante persone ora resteranno in attesa di una parola, di un gesto, di una carezza, del suono di una voce, che purtroppo non potranno risentire mai più; quante volte si batteranno il mea culpa, per non aver risposto ad un messaggio importante, per aver dato priorità a cose che non dovevano averla e per aver messo all'ultimo posto le ragioni del del cuore....

Forse ora dovremmo avere cristiana compassione di quegli uomini, che non hanno avuto la forza di fermarsi e fermare, quando ancora erano in tempo...quando ancora avrebbero potuto risparmiare la vita di tutti coloro, che ora non esistono più, se non nei ricordi di chi li ha amati.

Dovremmo chiedere scusa, tutti; pietà, per il male che ci siamo costretti a subire. Per ogni punto di sutura, sempre più più fitto, sempre più compatto e senza mai nessun anestetico, che ormai da troppo tempo, sta tenendo insieme i pezzi di quest’Italia, che si sta sgretolando, partendo proprio da quelle lingue di asfalto, che dovrebbero unire invece di dividere.

Non è proprio con Dio che dovremmo essere arrabbiati, ma con noi stessi e chissà se un giorno, troveremo la bontà di perdonarci, per i carichi a cui ci siamo imposti di resistere.

Forse quel Dio, a cui attribuiamo la colpa di decidere del nostro destino, riuscirà ad essere tanto indulgente e comprensivo con noi, che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere , nonostante oggi, guardando quel camion, mia sia resa conto di quanto abbiamo maltrattato inutilmente e ignorato, questa nostra meravigliosa patria.

Chiediamo in silenzio scusa alle vittime e comprensione a chi ha perso, madri, padri, figli, fratelli, sorelle, fidanzati e chiniamo il capo di fronte a questa immensa sofferenza, di cui ognuno di noi dovrebbe sentire il peso. Chiediamo scusa e chiediamo a Dio, quello di cui ci ricordiamo solo quando la vita ci sembra troppo dura da affrontare, di darci il coraggio, la forza e la dignità, di continuare ad avere fiducia nel genere umano e di sostenerci, nel cammino di ricostruzione di quei ponti, che devo no essere tanto solidi, da unire senza più dividere!

(iCdL)


 
 
 
  • Immagine del redattore: Luisa Colombo
    Luisa Colombo
  • 16 ago 2018
  • Tempo di lettura: 2 min



C’era una volta una famiglia, che in viaggio verso le vacanze estive, da un viadotto, ammirava il mare dove li attendeva un traghetto... C’era una volta una ragazza, che attraversava un viadotto, per raggiungere la casa del suo fidanzato… C’erano una volta degli operai, che alla vigilia di Ferragosto, raccoglievano rifiuti sotto un viadotto… C’erano una volta uomini, donne, bambini… C’era una volta un ponte, che doveva unire e che invece ah ceduto, non ha retto sotto il peso degli anni e dell’incuria, di chi doveva vigilare per l’incolumità di coloro, che viaggiavano su quella lingua di asfalto, ormai obsoleta e quasi interamente sospesa nel vuoto. C’erano una volta e ora non ci sono più… Sono le vittime di questa società moderna, evoluta, che chiude gli occhi di fronte ai pericoli imminenti, come se non guardarli, servisse ad evitarli. Famiglie distrutte, bambini che non diventeranno mai adulti, esseri umani senza più futuro. Parlano di un destino scritto su ferri arrugginiti, visibili ad occhio nudo, di un fato inciso su quelle lastre usurate e frantumate. Una sorte certa, che sembrava urlasse tra quei tiranti di cemento armato, non più capaci di sostenere quel ponte; un ponte che doveva unire e che invece, ha separato per sempre. Quello che è accaduto, non è il dramma dei genovesi, è la tragedia dell’Italia intera, perché ognuno di noi, noi che tra ieri e oggi, siamo rimasti incollati davanti alla tv, con gli occhi lucidi e la morte nel cuore, potevamo trovarci su quel ponte, potevamo essere una vittima; oggi potevamo non esserci più. Si troveranno i colpevoli, o forse sì continuerà quell’interminabile danza di rimpalli, di mancanze, di colpe, di errori fatali, ma nulla di tutto questo, restituirà più alle vittime di questo crollo, la vita perduta e schiacciata sotto quelle macerie, sotto il peso dell’incuranza, della superficialità e della negligenza di uomini, a cui era affidata la sicurezza di tutti coloro che ogni giorno, percorrevano quel ponte maledetto. In questi momenti, viene da chiedersi perché, come sia possibile che nel 2018, accadano ancora queste tragedie...perché! Forse ora dovremmo far tacere le inutili polemiche e lasciare che ingegneri, tecnici, esperti del settore trovino le risposte... Io non ne ho e mentre le immagini scorrono sugli schermi, non riesco a non chiedermi cosa avrà provato quella povera gente, quando il crollo, li ha fatti precipitare nel vuoto; quanti sogni e desideri, ora seppelliti sotto i blocchi di cemento armato sgretolato, avevano ancora da realizzare. Chissà chi avrebbero voluto abbracciare, a chi avrebbero voluto urlare l’ultimo ti voglio bene, a chi avrebbero voluto dedicare gli ultimi respiri per un ti amo, che forse, in quel volo maledetto e’ stato spazzato via dalla violenza del crollo. Telefoni incandescenti, che incessantemente attendevano una risposta mai giunta, messaggi a cui nessuno risponderà mai più... Su quel viadotto traditore, un destino bastardo, ignobilmente favorito da gentaglia senza coscienza, ha rubato l’esistenza a troppe persone, che non meritavano di pagare con la vita, un prezzo così alto e ora, tra quell’ammasso di macerie e lamiere contorte, di auto e camion, immobili su quei monconi di catrame marcito, resta solo il tempo per gli addii silenziosi, che a due passi dal mare, affogano nel silenzio della disperazione, una tragedia, l’ennesima tragedia, purtroppo annunciata. (iCdL - Luisa Colombo)

 
 
 

Ciao, sono qui per raccontarti ciò che vivo,

le esperienze delle anime che incrociano il mio cammino

e quelle che hanno segnato la mia esistenza.

Qui ti parlo della mia vita, dei miei pensieri, delle mie riflessioni.

Se ti va di leggermi, di commentare, di esprimere il tuo punto di vista, sei libero di farlo...

Credo che la condivisione,

sia una delle esperienze migliori della vita.

Grazie Luisa

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